Cancellazione dell´ente dal registro delle imprese e responsabiltà ex d.lgs. 231/2001

Caduta dall’alto e responsabilità ex d.lgs. 231. La cancellazione della Società dal Registro delle imprese non estingue l’illecito –

Cassazione Penale, Sez. 4, 17 marzo 2022, n. 9006 –

Fatto

1. La Corte di appello di Bologna il 23 ottobre 2020 ha integralmente confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Modena il 15 settembre 2016, all’esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto gli imputati G.F. e Z.F. responsabili del reato di lesioni colpose nei confronti di C.M., fatto contestato come commesso il (omissis), con violazione della disciplina antinfortunistica, entrambi in veste di legali rappresentanti della s.r.l. (omissis), oltre che la società (omissis) responsabile dell’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 25-septies, comma 3, in relazione al reato di cui all’art. 590 c.p., in conseguenza condannando gli imputati alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, con assegnazione alla stessa di provvisionale, e la società alla sanzione pecuniaria stimata di giustizia.

2. I fatti, in sintesi, come concordemente ricostruiti dai giudici di merito.

Il (omissis) si è verificato un infortunio sul lavoro ai danni di C.M., operaio dipendente della s.r.l. “(omissis)”, che è caduto a terra, riportando plurime fratture, da circa 3,60 metri di altezza mentre era in piedi a cavalcioni su di una scala a pioli collocata in maniera instabile, intento ad applicare pannelli isolanti sulla parte esterna di un edificio.

Gli imputati sono stati riconosciuti entrambi responsabili, in qualità di soci e di legali rappresentanti della s.r.l., per avere omesso di mettere a disposizione del lavoratore un’attrezzatura idonea a lavorare in quota, quale un ponteggio o un’impalcatura tubolare mobile su ruote (c.d. trabattello), così violando il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 111, comma 1, lett. a); i giudici di merito danno atto anche che sono emerse carenze nella formazione del dipendente.

La società (omissis), svolgente attività in campo edile, è stata ritenuta responsabile della violazione contestata per essere stato il reato commesso da soggetti con qualifica di rappresentanti ed amministratori ed a vantaggio e nell’interesse dell’ente.

3. Ricorrono per la cassazione della sentenza, tramite Difensore, sia gli imputati G.F. e Z.F., con un medesimo ricorso, affidandosi a tre motivi con i quali denunziano violazione di legge (il primo motivo) e difetto di motivazione (tutti i motivi), sia la società “(omissis)”, che si affida a due motivi con i quali censura violazione di legge (entrambi i motivi) e vizio di motivazione (il secondo motivo).

4. Ricorso degli imputati.

4.1. Con il primo motivo G.F. e Z.F. lamentano violazione degli artt. 546 e 598 c.p., per non avere la sentenza esposto, ad avviso dei ricorrenti, i motivi di diritto su cui la decisione è fondata e le ragioni per cui non sono state ritenute attendibili le circostanze addotte dalla Difesa in ordine alla insussistenza della violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 111.

Si rammenta che con il secondo motivo di appello si era dedotto che da alcuni elementi (dichiarazioni dell’infortunato e dei verbalizzanti e stato dei luoghi) risulta che l’operaio stesse lavorando non già ad un’altezza di 3,60 metri ma ad un’altezza sicuramente inferiore a 2 metri ma che tale ragionamento sarebbe stato confutato senza un’idonea motivazione, che addirittura sarebbe solo apparente oppure basata su un travisamento delle risultanze istruttorie.

4.2. Tramite il secondo motivo i ricorrenti denunciano mancanza o mera apparenza o manifesta illogicità e contraddittorietà della sentenza in riferimento alla risposta al tema, posto dalla Difesa nell’ultima parte del primo motivo di appello, circa la imprevedibilità della condotta dell’infortunato, che quel giorno, in realtà, avrebbe dovuto lavorare con i piedi per terra, dovendo agire su una superficie non più alta di 2,50 metri e non avrebbe dovuto usare la scala.

Il dubbio sulla esatta dinamica dei fatti avrebbe dovuto condurre i Giudici all’assoluzione.

4.3. Con l’ultimo motivo i ricorrenti censurano il ritenuto difetto di motivazione per avere escluso il riconoscimento della particolare tenuità del fatto e delle attenuanti generiche (richieste con il secondo ed il terzo motivo di appello) sulla base di considerazioni (pp. 5-6 della sentenza impugnata) che si stimano illogiche, contraddittorie ed avulse dagli effettivi risultati probatori.

5. Ricorso della (omissis) s.r.l..

5.1. Con il primo motivo la ricorrente si duole della omessa declaratoria di estinzione dell’illecito – sollecitata in appello – in ragione della documentata cancellazione della società, in data (omissis), dal registro delle imprese, cancellazione che, come affermato da dottrina e giurisprudenza (si richiama al riguardo Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco s.r.l., Rv. 277107) sarebbe da assimilare, quanto ad effetti, alla morte della persona fisica.

L’errore sarebbe peraltro duplice, spostando la responsabilità debitoria per la sanzione applicata all’ente in capo alle persone fisiche, come se si trattasse di una qualsiasi esposizione debitoria.

5.2. Tramite l’ulteriore motivo si censura la violazione degli artt. 546 e 598 c.p., per non avere la sentenza esposto, ad avviso della società ricorrente, i motivi di diritto su cui la stessa è fondata e le ragioni per cui non sono state ritenute attendibili le circostanze addotte dalla Difesa in ordine alla insussistenza della violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 111.

Si rammenta che la Difesa aveva chiesto l’esclusione della responsabilità dell’ente in ragione della ritenuta insussistenza del reato presupposto, poiché il lavoratore non si sarebbe trovato ad operare all’altezza di 3,60 metri da terra ma ad altezza inferiore a 2 metri, come risulterebbe dalle dichiarazioni a dibattimento della persona offesa e dei verbalizzanti.

Si sottolinea la – ritenuta – mera apparenza della giustificazione della sentenza impugnata rispetto alla prospettazione difensiva svolta in appello, anche tenuto conto che non sussisterebbe l’elemento del risparmio di spesa da parte della società, che aveva già la disponibilità di un trabattello, che quindi non doveva essere acquistato sostenendo un esborso di denaro.

I ricorrenti chiedono, in definitiva, l’annullamento della sentenza impugnata.

6. Il Procuratore Generale della S.C. nella requisitoria scritta del 4 febbraio 2002 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso degli imputati ed invece annullarsi la sentenza impugnata, limitatamente alla conferma della condanna della società per estinzione dell’illecito a seguito di estinzione della società, richiamando il precedente di legittimità di Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco s.r.l., Rv. 277107.

Diritto

1. Occorre affrontare partitamente il ricorso nell’interesse dell’ente e quello nell’interesse degli imputati, partendo da quest’ultimo.

2. L’intero ricorso degli imputati, come evidenziato dal P.G. nella sua requisitoria, al di là del (solo) apparente richiamo alla violazione di legge, è costruito in fatto, in maniera avversativa e mira ad una – inammissibile ricostruzione alternativa dei fatti e ad una rilettura delle risultanze probatorie auspicabilmente diverse da quella fatta propria dai Giudici di merito nella doppia conforme.

Le due sentenze, secondo consolidato insegnamento di legittimità da cui non vi è ragione per discostarsi, vanno lette e valutate congiuntamente: infatti, “Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile” (Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore e altro, Rv. 266617; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti ed altri, Rv. 225671; Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano ed altri, Rv. 224079; Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994, Scauri, Rv. 197497).

Anche le doglianze in punto di mancato riconoscimento di una causa di non punibilità e di trattamento sanzionatorio sono generiche e non si confrontano puntualmente con le sentenze di merito (pp. 5-6 di quella di appello e penultima pagina di quella del Tribunale).

Pur non essendosi nei gradi di merito verificato alcun evento sospensivo della prescrizione, la situazione è impermeabile all’astratto calcolo della prescrizione (fatto: (omissis) + sette anni e sei mesi = (omissis) ; nessun rinvio chiesto dalla Difesa; nessuna sospensione; sentenza di appello del 23 ottobre 2020; atti pervenuti alla S.C. il 21 aprile 2021), poiché, non essendosi, in ragione della rilevata inammissibilità, instaurato alcun valido rapporto processuale, non possono rilevarsi cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p., quale, appunto, la prescrizione che sarebbe maturata nelle more tra il secondo grado di merito ed il giudizio di legittimità (fondamentale principio risalente a Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266; in conformità le Sezioni semplici successive, tra cui Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, e Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi, Rv. 228349).

3. Passando al ricorso della società (omissis), si premette che, a differenza delle persone fisiche, la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica, in quanto atto di contestazione dell’illecito, interrompe il corso della prescrizione e lo sospende fino alla pronunzia della sentenza che definisce il giudizio, come previsto espressamente dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 22, comma 4 (Sez. 4, n. 5121 del 18/11/2021, Ditta HDI Holdine Do, Rv. 282598; Sez. 6, n. 12278 del 15/01/2020, Sauta Elio, Rv. 278755; Sez. 3, n. 1432 del 01/10/2019, dep. 2020, Martin s.r.l., Rv. 277943; Sez. 5, n. 50102 del 22/09/2015, D’errico e altro, Rv. 265588; Sez. 2, n. 10822 del 15/12/2011, dep. 2012, Cerasino e altri, Rv. 256705).

3.1. Ciò posto la soluzione offerta dalla sentenza impugnata alla questione della cancellazione, pacificamente avvenuta il (omissis), della società (omissis) dal registro delle imprese, nel senso della irrilevanza della stessa, seppure succintamente argomentata (p. 6), è certamente corretta in diritto.

In effetti, sussiste il precedente, di segno contrario, richiamato dalla s.r.l. ricorrente e dal P.G., di Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco s.r.l., Rv. 277107, secondo cui “In tema di responsabilità da reato degli enti, l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente (nella specie cancellazione della società a seguito di chiusura della procedura fallimentare) determina l’estinzione dell’illecito previsto dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ricorrendo un caso assimilabile alla morte dell’imputato” (principio richiamato nella parte motiva della recente sentenza di Sez. 5, n. 25492 del 27/04/2021, Mungari ed altri, non mass. sul punto).

La motivazione citata decisione citata è, testualmente ed integralmente, la seguente (punto n. 1 del “considerato in diritto”, pp. 4-5):

“Il collegio ritiene che la cancellazione dell’Ente, nel caso in esame, impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

Si rileva infatti, in via preliminare che il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 35 estende all’ente le disposizioni relative all’imputato.

Pertanto, nel caso in cui, come in quello di specie, si verifichi l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente, correlata alla chiusura della procedura fallimentare, si verte in un caso assimilabile a quello della morte dell’imputato, dato che si è verificato un evento che inibisce la progressione del processo ad iniziativa pubblica previsto per l’accertamento della responsabilità da reato di ente ormai estinto, ovvero di una persona giuridica non più esistente.

Tale scelta interpretativa risulta confermata dal fatto che il testo legislativo regolamenta sole le vicende inerenti la trasformazione dell’ente, ovvero la fusione o la scissione (D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 70), ma non la sua estinzione, che dunque non può che essere trattata applicando le regole del processo penale (D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 35).

Si ritiene dunque non importabile nel processo a carico dell’ente per l’accertamento della responsabilità da reato il principio espresso dalla giurisprudenza civile secondo cui la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese determina un fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci che, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui sono soggetti “pendente societate”, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione ovvero illimitatamente (Cass. civ. Sez. 5, Ordinanza n. 13386 del 17/05/2019, Rv. 653738; Cass. civ. Sez. 3, Ordinanza n. 20840 del 21/08/2018, Rv. 650423).

Il trasferimento dei rapporti obbligatori in capo ai soci riconosciuto dalla giurisprudenza civile è infatti correlato alla necessità di tutelare l’interesse dei soggetti privati che vantano ancora pretese nei confronti dell’Ente; la natura pubblica del processo a carico della società previsto dal d. lgs n. 231 del 2001 è invece incompatibile con l’estinzione non fraudolenta dell’ente, ovvero con la cancellazione dal registro dalle imprese che consegue fisiologicamente alla chiusura della procedura fallimentare: tale evento produce infatti l’estinzione della persona giuridica “accusata” e, dunque, impedisce la prosecuzione del processo, salvo che tale cancellazione piuttosto che fisiologica sia invece fraudolenta, caso che imporrà la valutazione della eventuale responsabilità degli autori della cancellazione “patologica””.

3.2. Occorre dissentire rispetto alla riferita impostazione ed alla conseguenza che se ne trae.

Pur volendo prescindere dalle implicazioni pratiche, agevolmente intuibili, discendenti dalle estrema facilità di cancellazioni “di comodo” dal registro delle imprese, con conseguente irresponsabilità per eventuali illeciti posti in essere nell’interesse o a vantaggio degli enti, e anche dalle difficoltà nell’accertamento “della eventuale responsabilità degli autori della cancellazione “patologica”” (così alla p. 5 della richiamata motivazione di Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco s.r.l.), a non persuadere è la giustificazione su cui poggia il riferito ragionamento, cioè il parallelo estinzione dell’ente, morte della persona fisica.

È agevole osservare, infatti, che la sezione II del capo II della L. n. 231 del 2001 (artt. 28 e ss.) disciplina in maniera articolata le vicende trasformative dell’ente, prevedendo espressamente che in caso di trasformazione, fusione e scissione resta ferma la responsabilità per gli illeciti commessi anteriormente alla data della trasformazione (art. 28), sicché l’ente risultante dalla fusione risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione (art. 29), che in caso di scissione resta ferma la responsabilità dell’ente scisso per i reati commessi (art. 30, comma 1), che gli enti beneficiari della scissione, anche solo parziale, sono obbligati in solido al pagamento delle sanzioni dovute dall’ente scisso (art. 30, comma 2) e che in caso di cessione dell’azienda il cessionario rimane solidalmente obbligato (art. 33). Inoltre, nel caso di trasformazione, di fusione o di scissione dell’ente originariamente responsabile, il procedimento prosegue nei confronti degli enti risultanti dalle vicende modificative o beneficiari della scissione, che partecipano al processo nello stato in cui si trova (art. 42).

Il silenzio invece serbato dal legislatore circa le vicende estintive dell’ente non può indurre ad accontentarsi di un accostamento che appare essere solo suggestivo con l’estinzione della persona fisica. Ciò per una pluralità di motivi:

a) in primo luogo, perché, in linea generale, le cause estintive dei reati sono notoriamente un numerus clausus, non estensibile;

b) poi, perché quando il legislatore della responsabilità delle persone giuridiche ha inteso far riferimento a cause estintive degli illeciti, lo ha fatto espressamente, come alla L. n. 231 del 2001, art. 8, comma 2, allorché ha disciplinato l’amnistia, peraltro modellando la rinunziabilità alla stessa sulla falsariga della disciplina vigente per le persone fisiche, ed all’art. 67 della disciplina in esame, ove ha previsto la adozione di sentenza di non doversi procedere in due soli casi: quando il reato dal quale dipende l’illecito amministrativo dell’ente è prescritto; e quando la sanzione è estinta per prescrizione;

c) inoltre, perché, essendo pacifico il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland Spa ed altro, Rv. 263682), secondo cui “In tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d. lgs. n. 231 del 2001”, non si comprende la ratio di un diverso trattamento della cancellazione della società, da cui discenderebbe l’estinzione dell’illecito amministrativo contestato all’ente, rispetto al caso di dichiarazione di fallimento, allorché è expressis verbis prevista la esclusione dell’effetto estintivo;

d) ancora, perché il richiamo che il difforme orientamento interpretativo opera al D.Lgs. n. 231 del 2011, art. 35 (Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco s.r.l., cit., p. 4 della motivazione) trascura che il rinvio operato dal legislatore alle disposizioni processuali relative all’imputato non è indiscriminato ma è solo “in quanto compatibili”.

3.3. Alla stregua delle considerazioni svolte, deve ritenersi che l’estinzione della persona giuridica, nelle società di capitali, comporti che la titolarità dell’impresa passi direttamente ai singoli soci, non avendo luogo una divisione in senso tecnico, come si ricava dall’art. 2493 c.c. e art. 2495 c.c., comma 3, disciplinanti, rispettivamente, la distribuzione ai soci dell’attivo e l’azione esperibile da parte dei creditori nei confronti dei soci.

Nè può trascurarsi che lo scioglimento della società, la cui nascita integra un contratto di durata, opera ex nunc: viene meno l’obbligo di esercitare l’impresa in comune ma non vengono meno – si noti – i rapporti sorti nell’esercizio dell’impresa anteriormente allo scioglimento. Del resto, la liquidazione della società avviene mediante conversione in denaro del patrimonio sociale.

In conseguenza, il punto che viene – sì – introdotto ma non adeguatamente sviluppato nelle sue implicazioni nell’interpretazione dalla quale si dissente (Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco s.r.l., cit., pp. 4-5 della motivazione) e che invece risulta di decisiva importanza è che la cancellazione della società può certamente porre un problema di soddisfacimento del relativo credito ma non pone un problema di accertamento della responsabilità dell’ente per fatti anteriori alla sua cancellazione, responsabilità che nessuna norma autorizza a ritenere destinata a scomparire per effetto della cancellazione dell’ente stesso.

Occorre, dunque, ad avviso del Collegio, affermare, in consapevole contrasto con il precedente di legittimità richiamato dalla s.r.l. ricorrente, il seguente principio di diritto:

“la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 25-septies, comma 3, in relazione al reato di cui all’art. 590 c.p., che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato”.

3.4. Così risolta la questione posta dalla società ricorrente con il primo dei due motivi di ricorso, quanto all’ulteriore è agevole osservare, analogamente a quanto rilevato rispetto all’impugnazione degli imputati – persone fisiche, che si tratta di ricorso costruito in fatto, mediante affermazioni avversative della ricostruzione effettuata dai Giudici di merito e che tendono ad introdurre una inammissibile – ricostruzione alternativa degli accadimenti ed una rilettura delle risultanze probatorie diversa rispetto a quella fatta propria nella doppia conforme. Donde la manifesta inammissibilità del secondo motivo di ricorso.

4. Consegue la statuizione in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi di G.F. e Z.F., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Rigetta il ricorso della (omissis) s.r.l., che condanna al pagamento delle spese processuali.